





 
              
Nelle ultime settimane, mentre cresce l’attesa per le elezioni politiche italiane del 13-14 aprile 2008, ho ricevuto numerose osservazioni relative a tale elezioni che mi dimostrano che chi le formula non conosce il sistema elettorale vigente – in effetti abbastanza complicato – e desidererebbe capire meglio come funziona. Anziché limitarmi ad allegare la legge elettorale, ho trascritto risposte per quanto possibili semplici alle domande più frequenti.
Chi “vince” le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008?
		      Interpretando correttamente la  legge elettorale vigente (legge 21 dicembre 2005, n. 270) si deve dire che  “vince” le elezioni la coalizione che “arriva prima”, ottenendo anche solo un  voto in più della prima coalizione concorrente (quella che “arriva seconda”),  alla Camera. In effetti chi “arriva primo” si assicura il controllo della  Camera, con un vantaggio di almeno cinquanta seggi, così che la situazione non  può essere rovesciata dal “tradimento” di singoli deputati o piccoli gruppi.  Giustamente, quindi, chi vince alla Camera “dà le carte” e ha il compito e la  responsabilità di formare un governo, ancorché – ove non abbia la maggioranza  al Senato – debba venire a patti con forze di minoranza. Chi invece vincesse al  Senato e non alla Camera non avrebbe davvero “vinto” le elezioni, perché al  Senato come vedremo non c’è premio di maggioranza nazionale e alla Camera sì. Cioè:  chi controlla la Camera  la controlla con un ampio vantaggio, chi controlla il Senato – a meno di  trionfi con maggioranze di voti schiaccianti – lo controlla normalmente con un  vantaggio ridotto. Alla Camera i rischi di “ribaltoni” in caso di “tradimento”  di singoli deputati o gruppi sono minimi, al Senato sono massimi. 
Si parla di un possibile “pareggio”: che significa?
		      Alla Camera la legge elettorale  rende impossibile qualunque pareggio. Chi parla di “pareggio” lo fa con  riferimento a due ipotesi che sono in realtà diverse. Prima ipotesi (possibile):  una delle due coalizioni maggiori (quella che ha come candidato premier l’onorevole Silvio Berlusconi  oppure quella che ha come candidato premier l’onorevole Walter Veltroni) si assicura il controllo della Camera, mentre nessuna delle due coalizioni si assicura  il controllo del Senato. In questa ipotesi, una delle coalizioni maggiori al  Senato si avvicina alla metà più uno dei seggi ma non la raggiunge. Deve quindi  (a) cercare degli alleati in singoli senatori o gruppi (e ci sono diversi  candidati possibili: singoli senatori “ribaltonisti” dell’altra coalizione  maggiore – la   Costituzione italiana vieta il cosiddetto “mandato  imperativo” e ogni deputato o senatore ha sempre il diritto di “cambiare idea”  –; senatori di liste minori che nonostante l’alta soglia di sbarramento fossero  riuscite a essere rappresentate in Senato; senatori eletti fra gli italiani  all’estero, per cui vige un sistema speciale di elezione; senatori a vita); (b)  chiedere al Presidente della Repubblica (che ha questa prerogativa) di  sciogliere solo il Senato e di indire nuove elezioni solo per il Senato,  lasciando la Camera  com’è; (c) chiedere al Presidente della Repubblica (o subire la sua decisione)  di indire nuove elezioni sia per il Senato sia per la Camera; o (d) coalizzarsi  con l’altra coalizione maggiore in un “governo di larghe intese” (cosiddetta  “Grande Coalizione”). Seconda ipotesi (diversa,  e di fatto improbabile): delle due coalizioni maggiori una si assicura il  controllo della Camera e l’altra il chiaro controllo del Senato (così che un  piccolo numero di singoli senatori “ribaltonisti” che “tradissero” non  sarebbero sufficienti a mutare la situazione). In questo caso la coalizione che  controlla la Camera  avrebbe tre possibilità: (a) chiedere al Presidente della Repubblica (che ha  questa prerogativa) di sciogliere solo il Senato e di indire nuove elezioni  solo per il Senato, lasciando la   Camera com’è; (b) chiedere al Presidente della Repubblica (o  subire la sua decisione) di indire nuove elezioni sia per il Senato sia per la Camera; o (c) coalizzarsi  con l’altra coalizione maggiore in un “governo di larghe intese” (cosiddetta  “Grande Coalizione”).
Chi “vince” alla Camera?
		      Il sistema è molto semplice. La  Camera è composta di 630 seggi. 12 sono assegnati agli italiani all’estero, e  uno alla Valle d’Aosta. Per gli italiani all’estero e la Valle d’Aosta vigono  sistemi elettorali diversi, che mi astengo dal descrivere perché alla Camera  queste circoscrizioni non possono comunque essere decisive. Esclusi gli  italiani all’estero e la Valle d’Aosta rimangono 617 seggi. La legge elettorale  vigente ne assegna 340 (il 55%, una maggioranza che nelle intenzioni del  legislatore – e con ogni verosimiglianza anche nei fatti – non è rovesciabile  dal “tradimento” di singoli e di gruppetti) alla coalizione che, sulla base di  un calcolo globale su tutte le Regioni italiane esclusa la Valle d’Aosta, ha  prevalso (anche per un solo voto) sulla coalizione che è arrivata seconda. È  sufficiente che la coalizione che è “arrivata prima” abbia conseguito almeno il  dieci per cento dei voti nazionali (sempre Valle d’Aosta esclusa: se nessuna  coalizione raggiungesse il dieci per cento scatterebbe un sistema diverso, ma  mi astengo dal commentare anche questa ipotesi dal momento che è meramente  teorica e del tutto inverosimile). 
Che differenza c’è fra liste e coalizioni?
		      Le “liste” nascono da uno o più  partiti o movimenti che si presentano con un unico simbolo e con un’unica lista  di candidati. Il Popolo della Libertà, la Lega Nord, il Partito Democratico, l’Italia dei  Valori, “Aborto? No grazie”, l’UDC, la Sinistra Arcobaleno,  La Destra e  altri sono “liste”. Il fatto che all’interno di una “lista” ci siano più  “partiti” – per esempio, allo stato il Popolo della Libertà comprende Forza  Italia, Alleanza Nazionale e altri; il Partito Democratico comprende il Partito  Democratico stricto sensu e il  Partito Radicale, e così via – è un fatto meramente privato, per la legge  inesistente. Secondo la legge l’elettore vota per una “lista”, non per un  partito.
		      Le liste possono essere  coalizzate o non coalizzate. Sono “coalizzate” se convergono con altre liste  designando uno stesso candidato premier.  Per esempio il Popolo della Libertà, la Lega Nord e il Movimento per le Autonomie  dell’onorevole Raffaele Lombardo sono liste coalizzate,  perché designano lo stesso candidato premier:  l’onorevole Silvio Berlusconi. Il Partito Democratico e l’Italia dei Valori  sono liste coalizzate perché designano lo stesso candidato premier: l’onorevole Walter Veltroni. Invece l’UDC, La Destra, la Sinistra Arcobaleno  e “Aborto? No grazie” sono liste non  coalizzate, perché a un candidato premier corrisponde una sola lista e non una pluralità di liste.
In pratica, alla Camera, che differenza c’è fra liste coalizzate e non  coalizzate?
		      Una differenza fondamentale. Alle  liste coalizzate (se la loro  coalizione nel suo insieme ha conseguito almeno il 10% dei voti) è sufficiente  conseguire il 2% dei voti nazionali (esclusa sempre la Valle d’Aosta) per ottenere  rappresentanti alla Camera – in qualche caso, per la verità, anche meno del 2%,  grazie a un sistema di recupero all’interno delle coalizioni – e, se la loro  coalizione vince, parteciperanno al premio di maggioranza. Le liste non coalizzate devono invece ottenere il  4% dei voti nazionali (Valle d’Aosta esclusa) per ottenere rappresentanti alla  Camera.
Se voto per una lista non coalizzata alla Camera (per esempio La Destra  o “Aborto? No grazie”) e questa lista non raggiunge il 4% che fine fa il mio  voto? Si “recupera” in qualche modo?
		      No, non si recupera. Non ci sono  più i sistemi di “resti” della legge elettorale precedente. Il voto va  totalmente sprecato. È come se avessi votato scheda bianca o scheda nulla  (salvo il fatto – ma è una scarsa consolazione, anzi la beffa aggiunta al danno  – che il mio voto contribuisce a determinare il totale dei voti validi su cui,  precisamente, si calcolano il 4% e le altre soglie di sbarramento).
Se voto per una lista coalizzata che alla Camera non raggiunge il 2% -  per esempio, voto per la   Lega Nord e questa, in (difficile) ipotesi, non raggiunge il  2% - il mio voto va ugualmente sprecato?
		      No. Perché in ogni caso è un voto per la coalizione, e contribuisce  eventualmente a far vincere la coalizione e certamente a determinare il numero  dei suoi seggi. C’è poi un meccanismo di recupero che potrebbe consentire a  liste coalizzate di ottenere seggi  anche se non raggiungono il 2%.
Che succede se una coalizione alla Camera prende più del 55% dei voti nel territorio nazionale esclusa la Valle  d’Aosta? Le spettano sempre 340 seggi?
		      No, gliene spettano di più. La  legge premia chi vince con meno del 55% ma non punisce chi vince con più del  55%. Se una coalizione (per esempio, la coalizione che indica come premier l’onorevole Silvio Berlusconi)  vince con il 60% dei voti validi prende il 60% dei 617 seggi assegnati tramite  la competizione nazionale (ricordiamo che gli altri 13, che portano il totale a  630, sono assegnati uno alla Valle d’Aosta e dodici agli italiani all’estero),  cioè 370 seggi (dunque non 340, ma 30 in più).
Ha senso dire, per esempio, “mi auguro la vittoria nazionale della  coalizione Berlusconi, tuttavia alla Camera nel Lazio non voto per una lista  della coalizione Berlusconi ma per una lista non coalizzata che mi è simpatica  – La Destra,  l’UDC o «Aborto? No grazie» – perché tanto nel Lazio i sondaggi danno alla  coalizione Berlusconi alla Camera una tale maggioranza da farmi concludere che  vincerà comunque, anche senza il mio voto”?
		      No, non ha nessun senso. Il  conteggio per determinare chi ha vinto è nazionale (esclude solo la Valle d’Aosta). Conta chi  alla fine “arriva primo” anche con un solo voto più del secondo, e un voto dato  in Emilia-Romagna e uno dato in Lombardia o nel Lazio ai fini di questa  “classifica” hanno esattamente lo stesso valore e vanno a comporre la stessa  somma. L’unica somma rilevante è quella nazionale, mentre le somme regionali  sono squisitamente irrilevanti (tranne, per la verità, in un caso: le liste che  rappresentano minoranze linguistiche non italofone, le quali – se [i.] si  presentano in una sola circoscrizione e [ii.] in quella circoscrizione  conseguono almeno il 20% dei voti validi – eleggono deputati anche se non  sono coalizzate e non sono arrivate al 4% dei  voti validi nazionali; ma questa eccezione si applica solo appunto alle liste di minoranze linguistiche che parlano  lingue diverse dall’italiano).
Ha senso dire, per esempio, “mi auguro la vittoria nazionale della  coalizione Berlusconi, tuttavia non voto per una lista della coalizione  Berlusconi ma per una lista non coalizzata che mi è simpatica – La Destra, l’UDC o «Aborto? No  grazie» – perché tanto i sondaggi nazionali italiani danno alla coalizione  Berlusconi alla Camera una tale maggioranza da farmi concludere che vincerà  comunque, anche senza il mio voto”?
		      Non ha senso, o ce l’ha solo per  chi non s’intenda di sondaggi. Trascurando l’ipotesi di sondaggi manipolati,  maliziosi o fasulli, i sondaggi elettorali sono per loro natura volatili e  incerti. Nelle primarie all’interno del Partito Democratico per designare il  candidato di tale partito alla presidenza degli Stati Uniti, in California  alcuni sondaggi assegnavano alla senatrice Hillary Clinton, alla vigilia del  voto, un vantaggio di venti punti percentuali sul senatore Barack Obama; è  stato poi quest’ultimo a vincere le primarie californiane. Nelle elezioni  politiche italiane del 2006 gli ultimi sondaggi assegnavano alla coalizione che  indicava come premier l’onorevole  Romano Prodi un vantaggio da quattro a sette punti percentuali rispetto alla  coalizione che indicava come premier l’onorevole Silvio Berlusconi; alla fine la coalizione Prodi vinse alla Camera  con un vantaggio dello 0,06% mentre al Senato la coalizione Berlusconi in  termini di voti batté addirittura la coalizione Prodi dello 0,2% (pur non  riuscendo poi ad avere la maggioranza dei senatori eletti in Senato una volta  che nel calcolo entrarono i senatori eletti con modalità speciale fra gli  italiani all’estero). Questo avviene perché la stragrande maggioranza dei  sondaggi è condotta su un campione casuale di mille intervistati su oltre  trentotto milioni di elettori (in Italia per la Camera), e le interviste  sono fatte per telefono. Se è vero che gli elettori sono più riluttanti a  rivelare il loro voto in un’intervista faccia a faccia, è anche vero che in  tutti gli altri settori di ricerca (per esempio, in materia religiosa) le  interviste telefoniche sono considerate meno affidabili. Questo non vuol dire  che i sondaggi siano irrilevanti: migliore è il campione, migliore è il  sondaggio, e un campione di mille elettori italiani se è stato scelto  utilizzando correttamente le tecniche di campionamento e intervistato con una  esatta applicazione del sistema C.A.T.I. (Computer  Assisted Telephone Interviewing, “sistema d’interviste telefoniche aiutato  da un computer”) – che è poi il sistema che quasi tutti i sondaggi di cui  leggiamo sui giornali utilizzano – può dare dei risultati di un certo  interesse. Ma i sondaggi elettorali sono semper  incerti anche quando (come non sempre avviene) sono condotti accuratamente  e in buona fede. Nei sondaggi elettorali un vantaggio inferiore al 10%, in  particolare, non dà nessuna sicurezza ed è spesso stato ribaltato dalla realtà  concreta del voto. 
Ha senso dire “alla Camera voto per una lista minore, tanto poi dopo le  elezioni si alleerà con la lista maggiore ideologicamente più affine e farà  maggioranza”?
		      No, non ha più senso e risente di  ricordi della vecchia legge elettorale. Chi “arriva primo” alla Camera, come si  è visto, ha un vantaggio garantito di almeno cinquanta seggi e non ha bisogno  di allearsi con nessuno. Se, in ipotesi, arrivasse prima, anche per un solo  voto la coalizione Veltroni l’alleanza di tutti gli altri (in assurda ipotesi,  Sinistra Arcobaleno + coalizione Berlusconi + UDC + La Destra + “Aborto? No  grazie”, e naturalmente è difficile che la Sinistra Arcobaleno  si allei con gli altri partiti e movimenti citati) avrebbe al massimo il 45%  dei seggi e non disturberebbe in nessun modo il “manovratore” Veltroni.
Ma davvero si possono prendere 340 seggi della Camera anche con una  percentuale molto inferiore al 50%?
		      Sì. Basta avere il 10%. Se ci  sono dieci coalizioni in gara più o meno della stessa consistenza, e la prima  prende il 10,01% e le altre tutte il 9 virgola qualcosa, la prima coalizione alla  Camera prende 340 seggi (una comoda maggioranza) e le altre si dividono i seggi  restanti. Se chi arriva primo ha (a) il 10% dei voti validi; (b) il 55%; (c)  una cifra percentuale compresa fra 10 e 55 il risultato alla Camera è  esattamente lo stesso: 340 seggi. Come si è visto, solo se la coalizione che  arriva prima ha meno del 10% dei voti validi (un’ipotesi del tutto teorica)  scatta un sistema diverso, mentre se ha più del 55% dei voti validi prende una  percentuale dei 617 seggi in palio superiore a quei 340 che corrispondono al  55% e corrispondente invece alla percentuale di voti validi effettivamente  ottenuta.
Al Senato non funziona così: perché?
		      Nel 2005 la maggioranza del  Parlamento voleva per il Senato la stessa legge della Camera. Questo avrebbe  consentito anche al Senato alla coalizione che “arriva prima” nella gara  nazionale di avere una maggioranza tale da essere al riparo dai “ribaltoni” di  singoli o piccoli gruppi. Il Presidente della Repubblica – che allora era il  senatore Carlo Azeglio Ciampi – obiettò che l’articolo 57 della Costituzione  impone di eleggere il Senato “a base regionale” e che una legge simile a quella  della Camera per il Senato sarebbe stata incostituzionale. Di qui la differenza  di norme per il Senato.
Dunque al Senato come funziona?
		      La “gara” che premia chi arriva  primo alla Camera si svolge, come abbiamo visto, su base nazionale (esclusa  solo la Valle  d’Aosta). Per il Senato ci sono invece tante “gare” simili, una per ogni  Regione, escluse però oltre alla Valle d’Aosta anche il Molise e il  Trentino-Alto Adige (che hanno tre sistemi diversi, che mi astengo  dall’illustrare per semplicità). In ogni Regione (escluse le tre citate) la  “gara” è simile a quella nazionale. Anche per il Senato si distinguono  “coalizioni” e “liste”. Ogni Regione ha un certo numero di senatori, attribuiti  in base alla sua popolazione. 
Chi “vince” la gara regionale al Senato?
		      In ogni Regione (escluse Valle  d’Aosta, Molise e Trentino-Alto Adige) si ripropone lo stesso scenario della  Camera. Si contano i voti delle coalizioni e la coalizione che vince prende il  55% dei senatori attribuiti a quella Regione. Cambia, rispetto alla Camera, il  minimo di voti necessari per far scattare l’attribuzione del 55% dei seggi in  ciascuna Regione, che non è più il 10% ma il 20%. Se nessuna coalizione o lista  non coalizzata raggiunge il 20% in una Regione, in quella Regione i seggi sono  distribuiti in modo proporzionale. Se invece almeno una coalizione supera il  20%, chi vince se ha dal 20% al 55% prende sempre lo stesso numero di seggi  attribuiti a quella Regione – il 55% dei seggi – mentre se chi vince ha più del  55% prende un numero di seggi regionali che corrisponde alla sua percentuale  (dunque può prenderne anche più del 55%).
E al Senato quali soglie di sbarramento (regionali) ci sono?
		      Il 3% dei voti validi espressi  nella Regione per le liste che fanno parte di coalizioni che abbiano conseguito  il 20% (anche qui con qualche possibilità di avere seggi anche per chi rimane  sotto al 3%, se è in una coalizione). L’8% (una soglia molto alta) dei voti validi espressi nella Regione per le liste che  non fanno parte di coalizioni.
Se una lista non coalizzata raggiunge l’8% in   una Regione – per esempio La Destra raggiunge l’8% in Lazio – ne consegue che,   oltre che in quella Regione, potrà eleggere senatori anche in altre   Regioni?
	        No. Nella legge   elettorale vigente i diversi sistemi elettorali regionali non comunicano, per   così dire, fra loro. Ciascuna lista non coalizzata ottiene senatori solo nelle   Regioni dove raggiunge effettivamente l’8%.
Chi “vince” la gara nazionale al Senato? Cioè, chi controlla al Senato?
  È   molto difficile dirlo, e perfino fare sondaggi. Occorrerebbe disporre di  sondaggi affidabili regione per regione, e in più tenere conto delle tre  regioni con sistemi particolari, degli italiani all’estero e dei senatori a  vita (che, come si è visto nell’ultima legislatura, possono essere decisivi).  Ma proprio per questo sarebbe essenziale per assicurare la governabilità che  chi vince alla Camera vincesse anche al Senato in più regioni possibile, e  vincesse “bene”.
Se voto per una lista non coalizzata al Senato (per esempio l’UDC o La  Destra) e questa lista nella mia regione non raggiunge l’8% che fine fa il mio  voto? Si “recupera” in qualche modo?
		      No, non si recupera. Non ci sono  più i sistemi di “resti” della legge elettorale precedente; la legge del 2005  prevede il “riparto dei seggi esclusivamente su base regionale”, quindi i voti  andati persi in una Regione non possono essere recuperati in un’altra Regione.  Il voto dato a una lista non coalizzata che nella mia Regione non raggiunge  l’8% va totalmente sprecato. È come se avessi votato scheda bianca o scheda  nulla (salvo il fatto – ma è una scarsa consolazione, anzi la beffa aggiunta al  danno – che il mio voto contribuisce a determinare il totale dei voti validi  regionali su cui, precisamente, si calcolano l’8% e le altre soglie di  sbarramento).
Se voto per una lista coalizzata che al Senato non raggiunge il 3%  nella mia Regione - per esempio, voto per la Lega Nord e questa, nella mia  Regione, non raggiunge il 3% - il mio voto va ugualmente sprecato?
		      No. Perché in ogni caso è un voto per la coalizione, e contribuisce  eventualmente a far vincere la coalizione e certamente a determinare il numero  dei suoi seggi regionali. C’è poi un meccanismo di recupero che potrebbe  consentire a liste coalizzate di  ottenere seggi anche se non raggiungono il 3%.
Ha senso dire, per esempio, “mi auguro una vittoria nazionale della  coalizione Berlusconi, ma al Senato in Lombardia non voto per una lista della  coalizione Berlusconi ma per una lista non coalizzata che mi è simpatica – La Destra o l’UDC – perché  tanto in Lombardia i sondaggi danno alla coalizione Berlusconi una tale maggioranza  da farmi concludere che vincerà comunque, anche senza il mio voto”?
		      Potrebbe avere un senso se si  votasse per elezioni regionali. Ma qui non bisogna dimenticare che si tratta di  elezioni politiche nazionali e che  l’obiettivo non è “avere più senatori in Lombardia” ma “avere più senatori in  Senato a Roma”. Dunque c’è una grande differenza se la coalizione Berlusconi in  Lombardia, nell’ipotesi che vinca, vince con il 54,9%, con il 59% o con il 65%.  Perché, se prende il 54.9%, porta a Roma il 55% dei senatori eletti in  Lombardia. Ma se prende il 59% o il 65% prende più senatori in Lombardia, cioè più del 55% dei senatori eletti in  Lombardia. Nella pratica due o tre senatori in più che, come si è visto nella  precedente legislatura, nel conto nazionale in Senato a Roma possono fare la  differenza.